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mercoledì 25 maggio 2016

Le parole da cancellare

Il mestiere di scrivere fa buona pratica della gomma.
Limare, ridurre, asciugare il testo è in verità un’operazione difficile, spesso dolorosa. Ci sono parole cui ci affezioniamo, innanzi tutto, quelle cui ci sembra impossibile rinunciare. Ci sono frasi che hanno un suono incantevole, che a tutti i costi cerchiamo di salvare. Ci sono passaggi che ci riesce di descrivere solo con un fiume di aggettivi, ciascuno dei quali ci convinciamo abbia enorme rilevanza. Ci sono stati d’animo che crediamo gonfi di sfumature traducibili solo con una massa di vocaboli ai quali restiamo incollati.
E’ il concetto stesso di sintesi che talvolta aborriamo, come se fosse un nemico della letteratura. Oggi ancora di più.
Già, oggi che siamo incastrati nella comunicazione veloce, che adottiamo sigle e acronimi, che dialoghiamo con formule brevi, quello del libro lo difendiamo come spazio di prosa piena, ricca, morbida. Un romanticismo al quale francamente cedo volentieri, io che adoro la narrazione che gioca nel fascino del vocabolario e delle espressioni. Eppure lavorando ho affinato le forme, ho imparato a declinarle diversamente nei differenti contesti, a concepire la forza del linguaggio immediato, a interpretare in modo euforico e potente la semplicità.
Occorre fuggire, più di tutto, la ridondanza. Inseguire l’equilibrio tra troppo e poco è un viaggio faticoso ma affascinante. Il Less is more narrativo è un’arte magica cui ambire con un mix di passione e rigore: quando ami l’essenziale, cancelli il superfluo.

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