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lunedì 13 aprile 2015

Punto interrogativo e puntini di sospensione

Accentuare e attenuare, più o meno.
L’uno e gli altri, punto esclamativo e puntini di sospensione, dovrebbero essere utilizzati con parsimonia, alla necessità, nel giusto contesto. In realtà ne facciamo, forse tutti, un uso talvolta esagerato e scorretto. Sembrano quasi boe cui ci aggrappiamo: quando vogliamo enfatizzare piazziamo un punto esclamativo, quando vogliamo allentare la presa o creare suspence mettiamo tre bei puntini.
Con buona padronanza di lingua, vocabolario e argomenti la scrittura è efficace, autorevole, evocativa, coinvolgente, insinuante o attraente senza lo stratagemma di un segno di esclamazione o la carica della punteggiatura. Bisogna però anche ammettere che un sano revival di tutti i segni di interpunzione non guasta affatto: serve a modulare le pause, ad armonizzare le parti di testo, a rendere più chiaro, vivace e leggibile un periodo articolato. E non solo. Non
eccessivi ma neanche ridotti all’osso possono caratterizzare. Già, ci sono romanzi e racconti dove un sapiente fiorire di questi sostegni alla fluidità di struttura rende un risultato gradevole.
Tutto sta a non aggrapparsi, al punto esclamativo e ai puntini di sospensione.

Se ci sembrano davvero funzionali non tarpiamoci le ali. Se invece colmano nostre carenze espressive dovremmo ascoltare il campanello d’allarme e rivedere la nostra esposizione.

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