Adoro
l’elogio, l’ho spesso dichiarato. L’elogio come forma o genere letterario. L’elogio
degli antichi rivisto in chiave moderna. La formula ampollosa o quella
umoristica. L’opera che racchiude uno scorcio sociale o un’intima riflessione. L’elogio
come esercizio di pensiero, plauso o stimolo ironico.
E
poco importa se si voglia tessere l’elogio delle belle donne, del gelato, di
qualche arte, dei social media o di un vezzo. Contano le atmosfere, le parole,
l’energia. Per questo mi appassiona. Al di là della trama è uno spazio di
celebrazione che ciascuno declina in modo peculiare, esclusivo. Magari al
limite del paradosso o vistosamente comico oppure austero.
Lei
mi ha invitato a nozze, con l’elogio delle emozioni. Quasi ne avevo paura, in
verità, al principio. Maneggiare la parola emozioni è cosa da giocolieri
provetti, il rischio della banalità altissimo. Ma lei aveva il progetto ‘giusto’.
Quello lieve, morbido, fanciullesco, dell’esplorazione in punta di piedi,
timida, innocente, curiosa e volutamente sprovveduta… Già, al riparo dalla
saccenteria e dalle dotte elaborazioni, potevamo avventurarci con qualche
libertà a toccare emozioni. Dalla malinconia all’allegria passando per il
terrore, l’ansia, la gioia e la noia, siamo andate a zonzo per stati d’animo
quieti, forti, allarmati, euforici.
A
lei interessava il valore, delle emozioni.
Desiderava
esortare a coglierle, tutte, per crescere e vivere nella loro luce invece che
alla loro ombra.
Un
piccolo, grande elogio. Peccato solo non abbia voluto intitolarlo proprio così.