La
fatica, di lavorare, vivere, amare, scalare una montagna o tenere a bada i
propri mostri, è comune, molto comune. Talmente comune da far impennare il
livello di coinvolgimento e immedesimazione del lettore.
Ecco,
le storie che narrano la fatica hanno quella vena umana che ci fa sentire meno
soli, non troppo fallimentari, perfino riappacificati con il mondo e con noi
stessi.
I
migliori libri del genere sono quelli che ci aiutano anche a ridere. Spogliandoci
della tensione, infatti, la disperazione diventa dolce e autoironica. Scorgere l’affanno
diffuso ci fa tirare un sospiro di sollievo. Ritrovarsi in compagnia apre la
porta alla speranza.
Funziona
davvero così, è un meccanismo inconscio fortissimo.
D’altra
parte la ‘bravura’ è tutta in un equilibrismo tra nudo realismo e velata
sdrammatizzazione. Guai a spiattellare in modo saccente qualche formuletta
magica, la mossa vincente è sempre quella di regalare al lettore una carezza
che lo incalzi a prendere in mano la sua fatica con un sorriso.
D’altra
parte, diciamo la verità, quelli che non sudano, non tremano, non piangono
possono pure piacere -sotto sotto- ma sembrano mettere nero su bianco un’ingiustizia,
uno sfottò, una fortuna sfacciata. Roba che non tutti i lettori digeriscono e
perdonano…
In fondo la fatica fa bene
a chi la racconta e a chi la legge: alleggerisce entrambi!
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