Accentuare e attenuare,
più o meno.
L’uno
e gli altri, punto esclamativo e puntini di sospensione, dovrebbero essere
utilizzati con parsimonia, alla necessità, nel giusto contesto. In realtà ne
facciamo, forse tutti, un uso talvolta esagerato e scorretto. Sembrano quasi
boe cui ci aggrappiamo: quando vogliamo enfatizzare piazziamo un punto
esclamativo, quando vogliamo allentare la presa o creare suspence mettiamo tre
bei puntini.
Con
buona padronanza di lingua, vocabolario e argomenti la scrittura è efficace,
autorevole, evocativa, coinvolgente, insinuante o attraente senza lo
stratagemma di un segno di esclamazione o la carica della punteggiatura. Bisogna
però anche ammettere che un sano revival di tutti i segni di interpunzione non
guasta affatto: serve a modulare le pause, ad armonizzare le parti di testo, a
rendere più chiaro, vivace e leggibile un periodo articolato. E non solo. Non
eccessivi ma neanche ridotti all’osso possono caratterizzare. Già, ci sono
romanzi e racconti dove un sapiente fiorire di questi sostegni alla fluidità di
struttura rende un risultato gradevole.
Tutto
sta a non aggrapparsi, al punto esclamativo e ai puntini di sospensione.
Se
ci sembrano davvero funzionali non tarpiamoci le ali. Se invece colmano nostre
carenze espressive dovremmo ascoltare il campanello d’allarme e rivedere la
nostra esposizione.
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