Capita
spesso, che dietro il successo ci sia un ghost writer.
Non
mi è molto chiaro perché desti tanto scalpore e indignazione. C’è un accordo
franco, tra autore –dell’idea- e ghost writer o scrittore fantasma che dir si
voglia.
Io
non mi sento una sorta di ‘scrittrice di serie B’, faccio un mestiere, esercito
una professione, scrivo (e mi piace moltissimo) e percepisco un compenso per il
lavoro svolto. Il fatto che sia un altro ad andare in libreria, in tv, sui
giornali con un romanzo che ha visto la luce grazie alla mia opera non mi
umilia e non mi rattrista. Anzi. Sono davvero felice, è una soddisfazione
enorme!
Il
punto, se mai, è un altro. Talvolta sono gli stessi editori ad assoldare ghost
writer per un libro che in copertina porta un altro nome. E questo risponde a
una serie di logiche di immagine, mercato, ecc.
Allora
giù che si scatena chissà quale caccia alle streghe. Vere e proprie
insurrezioni di invidiosi, delusi, ingenui o giù di lì.
Ben
può esserci un grande scrittore che ha un’ispirazione di trama su un genere sul
quale non ama avventurarsi e dunque l’editore fa un’operazione commerciale:
ghost writer adeguato e pubblico accontentato. Già, bisogna dirlo. Criticare gli
editori perché ‘snobbano’ l’esordiente o preferiscono il Tizio-personaggio al
Caio-anonimo senza tener conto della grande verità è ingiusto. E la grande
verità è che i primi a fare questa scelta sono i lettori!
Accidenti,
vorrete mica che una casa editrice –che giustamente ha fini di lucro- non
intercetti esattamente le tendenze del pubblico?
Chi
ama il mestiere di scrivere come me finisce per spassarsela in un certo senso. Sono
qui, sempre pronta a una nuova avventura e del mio nome stampato me ne
infischio. Godo di più, molto di più, a non permettere che l’avventura sia
costretta al cassetto.
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